Guanto di sfida

E così alla fine ho fatto un esperimento di lettura. Non nel senso che ho letto qualcosa io di fuori dagli schemi, ma che ho preso una mia amica, e ne ho fatto una cavia.

Il gioco è nato più o meno un paio di mesi prima di Natale.

Non mi capacitavo che, benché si considerasse una lettrice forte, non avesse mai sentito nominare Raymond Chandler.

Ora, va bene tutto, ma per quanto mi riguarda un lettore che possa considerarsi degno di rispetto dovrebbe non solo apprezzare Chandler, ma essere pronto a recitare a memoria gli incipit de Il Grande Sonno, de La sorellina, di Addio, mia amata e de Il lungo addio, anche in stato di ebbrezza.

Così ho preso la mia prima copia (ne possiedo almeno tre) de Il grande sonno, e l’ho consegnata alla mia amica, nella convinzione che le avrei finalmente fatto vedere la luce, e che non avrebbe mai saputo come ringraziarmi in modo adeguato.

Nel giro di pochi giorni, ho ricevuto la restituzione del libro.

Pensavo che sarebbe stato accompagnato dal suo sorriso estasiato e dall’affermazione che lei non riuscirà mai a prestarmi un suo libro che possa sortire un simile, soddisfacente, effetto, su di me. E invece…invece, il primo romanzo in cui compare Philip Marlowe è stato liquidato come “illeggibile polpettone”.

Ci sono rimasto molto male. Perché francamente, nella mia carriera di lettore credo di essermi divertito davvero poche volte così tanto come quando mi sono aggirato per Los Angeles in compagnia della creatura di Chandler.

Avevo quindi pensato di desistere, che avrei dovuto perdere ogni speranza.

E invece, che cosa ho fatto?

Ho alzato la posta.

Non ti piace un caposaldo della letteratura americana dell’inizio del secolo scorso, che ha rappresentato il riferimento per tanti scrittori venuti in seguito, che ha spinto in tanti, senza mai riuscirci davvero, a tentare di emulare la voce narrante più ammaliante che mi sia capitato di leggere?

E va bene. E allora proviamo con il primo romanzo di David Mitchell, “Nove gradi di libertà”.

L’avevo appena finito di leggere e l’ho usato come una sorta di “tutto o niente.”

Il romanzo di Mitchell è problematico fin dal suo inquadramento – si tratta di un romanzo o di una serie di racconti concatenati? – e per quanto riguarda il contenuto, a mio avviso è tanto divertente ed emozionante quanto cervellotico. E’ raccontato sfruttando tanti registri diversi, presenta tanti personaggi che catturano il lettore fin da subito, ma richiede al lettore una più che discreta attenzione per l’individuazione dei nessi presenti fra i vari capitoli e per la conseguente ricostruzione della vicenda complessiva, che travalica i limiti dei singoli episodi e rappresenta la loro somma.

Insomma, se non sei riuscita a divertirti con qualcosa che avrebbe dovuto catturarti fin dalle prime righe, vediamo se la tua mente si lascia incantare da un piacere più difficile da afferrare.

Come sarà andata a finire?

Sono io stesso in attesa di una risposta.

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