Never Die di Rob J. Hayes

Cinque guerrieri si risvegliano da un sonno senza sogni solo per ritrovarsi davanti a un ragazzino dallo sguardo strano, il collo fasciato da una sciarpa rossa, che dice loro di averli riportati in vita per compiere una missione.

Per la verità, i cinque non sono proprio vivi, ma “per lo più vivi”, come precisa loro il ragazzino, e potranno aspirare a tornare a ciò che erano prima del trapasso solo accettando di compiere la missione che il ragazzino ha ricevuto niente meno che da un dio della morte: uccidere l’imperatore che da anni affligge le terre dei dieci regni.

Abbiamo una spadaccina che ha fatto il voto di non estrarre mai la propria seconda lama, ma che per la verità se la cava egregiamente anche solo con la prima, un gigantesco lottatore, autore di imprese mitiche, che tutti però paiono aver dimenticato, un esperto di arti marziali che ha giurato di non uccidere, un cecchino ammalato di lebbra a cui è rimasto un solo occhio e un bandito, abile nel combattimento, ma a disagio in un gruppo costituito da “veri eroi”, lui che ha sempre scelto la strada più facile e non certo la più onesta.

Questo fantasy intriso di elementi orientali mi ha tenuto compagnia nelle ultime settimane. E’ stata una lettura particolarmente piacevole e divertente, per la simpatia dei personaggi e per la trama avvincente.

In meno di trecento pagine, e dunque con davvero poche parole, e descrizioni ridotte al minimo a tutto vantaggio del ritmo, l’autore dimostra che è possibile creare non solo un mondo, ma anche la sua storia e le sue leggende, semplicemente evocandole, e lasciando al lettore di colmare “i vuoti” in virtù dei suggerimenti disseminati nel corso della narrazione.

Cinque personaggi davvero caratterizzati, per i quali si sviluppa subito una forte simpatia, destinati a compiere un percorso narrativo che li cambierà davvero, attraversando una terra segnata fino all’impoverimento e alla devastazione dalla volontà di un tiranno, mentre si palesa la presenza di esseri soprannaturali

“Never Die” è semplice, divertente, diretto, e ha uno sviluppo finale forse in parte prevedibile, ma che in realtà conferma l’intelligenza spesa dall’autore nel concepirlo.

Che io sappia, non è stato tradotto in italiano, ma non ho avuto problemi a leggerlo in inglese, benché la mia padronanza della lingua sia piuttosto rudimentale.

Fa parte di una serie di romanzi “stand-alone”, tutti ambientati nello stesso universo narrativo, ma leggibili per l’appunto in modo indipendente l’uno dall’altro. Così, per una volta, non saremo schiavizzati da una interminabile serie di volumi semi-quasi-maforsenon autoconclusivi.

Ho già messo il prossimo nella mia wish list. Consigliatissimo.