Prey

Confesso di essermi avvicinato a questo nuovo titolo Netflix senza grosse pretese. Avevo visto poche immagini del trailer, e mi pareva che potesse rappresentare un buon diversivo per l’ora e mezza della sua durata.

In sintesi, la storia è questa: Roman si trova con il fratello e tre amici in un parco nazionale, da qualche parte, nel cuore della Foresta Nera. Si sta per sposare, e qualcuno ha pensato che un po’ di canoa, qualche bagno nel torrente che attraversa la foresta e una passeggiata nel bosco potessero rappresentare un buon diversivo rispetto alla solita serata passata ai piedi di un palco, in attesa del prossimo spogliarello.

Appare subito chiaro che qualche ruggine rende i rapporti tra i membri della spedizione un po’ meno che idilliaci.

In particolare, Roman sembra in attesa che il fratello gli risolva la situazione lavorativa, assumendolo nella compagnia che ha fondato, ma gli amici sembrano dubitare del suo effettivo impegno in quel senso.

Il programma della giornata subisce un primo piccolo scossone quando il gruppo sente un colpo di fucile esplodere a distanza troppo ravvicinata per non destare qualche preoccupazione.

La situazione degenera in modo irreparabile quando il gruppo di amici, raggiunte le auto e accingendosi al rientro, finisce sotto una pioggia di proiettili e uno di loro finisce ferito.

E’ l’inizio di una caccia all’uomo senza tregua, condotta in modo implacabile da una giovane donna vestita di nero, munita di un fucile di precisione.

Per qualche minuto, all’inizio del film, ho temuto di trovarmi dalle parti di una scopiazzatura di Deliverance, ma Prey si è rivelato ben presto capace di prendere una strada propria.

Serrato nel ritmo, suggestivo nell’ambientazione, induce a sussultare a ogni ramo scricchiolante e si prende anche il tempo per dire la sua sull’effettivo valore di certi legami familiari e amicali.

Man mano che si susseguono i colpi del cecchino, il gruppo di amici perde di compattezza e arriva a sgretolarsi per l’incapacità dei singoli di controllare le proprie reazioni. C’é chi piagnucola, chi vorrebbe lasciare indietro i feriti, chi fin da subito ritiene che separarsi sia una buona idea.

Anche la storia del cecchino, rivelata verso il finale, è quella di qualcuno che ha reagito al peggior trauma possibile nel peggior modo possibile. In definitiva, Prey ci serve un campionario di neppure una decina di persone, contando anche la killer, e solo un paio di loro dimostrano di avere almeno un minimo di autocontrollo o la capacità di resistere e tenere in minima considerazione il prossimo, pur considerato amico fino al fotogramma precedente.

Un’ora e mezza di intrattenimento serrato? Di sicuro, ma anche un film che ci lascia con una sensazione di amara desolazione.

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